Secondo la tradizione, l’evangelista Marco, giunto a Roma con San Pietro, avrebbe costruito un primo oratorio, successivamente trasformato in chiesa nel IV sec. d.C. L’edificio venne ricostruito da papa Gregorio IV (827-844) nel secolo IX e poi nuovamente modificato dal cardinale Pietro Barbo, futuro papa Paolo II, a cui si deve anche la costruzione di Palazzo Venezia. Ulteriori cambiamenti avverranno nei secoli successivi e conferiranno al posto l’aspetto attuale.
Si accede alla chiesa da una facciata, caratterizzata da un portico sormontato da una loggia, attribuita a Leon Battista Alberti o Francesco del Borgo.
L’interno è diviso in tre navate da pilastri e colonne rivestite da diaspro di Sicilia. La navata centrale è illuminata da 24 bifore e presenta una decorazione ad affresco del XVIII secolo, con Storie di San Marco papa a sinistra e Storie dei martiri Abdon e Sennen a destra. Il pavimento marmoreo è del XVI secolo, mentre il soffitto a cassettoni lignei è del XV secolo.
L’abside si caratterizza per un mosaico risalente al tempo di papa Gregorio IV (828-844). Al centro del mosaico è il Cristo benedicente che regge un libro dove si legge “Ego sum lux, ego sum vita, ego sum resurrectio” (io sono la luce, io sono la vita, io sono la resurrezione). A sinistra del Cristo: San Felicissimo, San Marco Evangelista che presenta papa Gregorio IV con nimbo quadrato, in quanto vivente, con in mano il modello della chiesa da lui ricostruita; a destra: Marco papa, San Agapito martire e Santa Agnese. Nella zona inferiore l’Agnello, sotto cui scorrono quattro fiumi, lateralmente dodici agnelli simboleggianti gli apostoli che escono da Gerusalemme (a sinistra) e da Betlemme (a destra).
Lungo la navata destra si aprono: la cappella della Resurrezione con il Cristo risuscitato di Palma il Giovane; cappella dell’Adorazione dei Magi con la tela di Carlo Maratta (1625-1713); cappella della pietà con La Pietà di Bernardino Gagliardi, che ha eseguito anche gli affreschi laterali con San Giovanni evangelista e la Maddalena; Cappella del Santissimo Sacramento dedicata a San Marco papa, costruita da Pietro da Cortona custodisce la tavola rappresentante San Marco papa, attribuita a Melozzo da Forlì (1438-1494).
A sinistra invece si aprono: la cappella dell’Immacolata con la tela di Francesco Mola (1612-1668) con ai lati affreschi dello stesso, rappresentanti i Santi Luca e Giovanni Evangelista; cappella di San Michele con la tela di Francesco Mola; la cappella di San Domenico con Il Miracolo di San Domenico, attribuito a Baccio Ciarpi (1574-1654); cappella del Beato Barbarigo, costruita nel 1764 su disegni di Emidio Sintes (metà sec. XVIII) con il bassorilievo: Il beato Barbarigo nell’atto di fare l’elemosina di Antonio d’Este (1754-1837), allievo del Canova.
Curiosità
Nel portico della chiesa è custodita l’epigrafe di Vannozza Cattanei, una donna molto influente nella Roma papale a cavallo tra il XV e il XVI secolo, ma chi era? Vannozza, descritta come una donna molto affascinate e scaltra negli affari, è ricordata principalmente per essere stata l’amante di papa Alessandro VI Borgia, a cui darà ben quattro figli: Cesare, Juan, Lucrezia e Goffredo. Il papa sceglierà per Vannozza i suoi futuri quattro mariti, per renderla una donna rispettabile agli occhi del popolo. I matrimoni accresceranno le sue ricchezze, basti ricordare l’abitazione sulla cosiddetta Salita dei Borgia, in prossimità di San Pietro in Vincoli, che erediterà da uno dei suoi matrimoni.
Donna dallo spirito imprenditoriale era nota anche perché gestiva delle locande, celebre la Locanda della Vacca a Campo de’ Fiori al cui ingresso esiste ancora il simbolo araldico.
Purtroppo non avrà la possibilità di godersi a pieno la crescita dei figli, manovrati dal potente papa come delle pedine, e ne vedrà seppellire ben tre, solo Lucrezia le sopravviverà, ma per pochi mesi. Vannozza, dopo essere passata a miglior vita, sarà seppellita nella chiesa di Santa Maria del Popolo e la sua lapide, dopo essere stata smarrita, è stata rinvenuta nel 1948 e murata nel portico della chiesa di San Marco. L’epigrafe cita: